mercoledì 28 maggio 2025

Blue Prince


Blue Prince - 2025 - Versione Playstation 5

Nel suo nome Blue Prince fa un gioco di assonanza con la parola inglese Blue Print, che in italiano vuol dire "progetto", e infatti per tutto il gioco la meccanica principale è quella di cimentarci nel progettare la mappa della magione in cui siamo stati invitati. Lo scopo di tutto questo è di riuscire a raggiungere una stanza situata dalla parte opposta all'ingresso per poter riscuotere un'eredità, e ogni volta che si varca una porta all'interno della casa ci viene data la possibilità di scegliere quale stanza posizionare dietro a quella porta, tra le tre proposte in modo casuale dal gioco.


All'inizio non si hanno risorse, né chiavi né altro, e si dispone di sole 50 mosse, finite le quali (o finite le porte apribili) si è costretti a ricominciare da capo il giorno successivo. Tuttavia, partita dopo partita, si iniziano ad accumulare conoscenze e risorse permanenti che ci permetto per esempio di iniziare con 80 mosse o con alcune risorse già accumulate, oltre al fatto che si possono sbloccare nuove tipologie di stanze, conservare oggetti per il giorno successivo eccetera.


Tutto questo fa di Blue Prince un gioco la cui esperienza si basa sulla ripetizione, con una parte di casualità che per fortuna rende ogni "giro" un po' diverso dal precedente, ma che in generale richiede di reiterare sempre gli stessi ragionamenti. Ci sono però molti enigmi che, se risolti, sono capaci di darci risorse più o meno permanenti, o di sbloccare altri ambienti addirittura fuori dalla magione. Molti di questi ambienti sono interconnessi e vanno in qualche modo a formare, in concerto, enigmi ancora più grossi e complessi.


Questo aspetto di design, unito al fatto che musica e la grafica (nella loro semplicità) sono molto evocative, rendono il gioco un'esperienza davvero immersiva, qualcosa che ricorda sotto certi aspetti la fantastica atmosfera di giochi storici come Myst. Del resto Blue Prince è proprio questo, un'avventura grafica in prima persona, che presenta elementi casuali e con un costrutto di gameplay che ti spinge a pianificare ogni nuova partita in un'ottica più ampia del semplice obiettivo di raggiungere la stanza finale. Tanto più che non basterà raggiungerla per poterci entrare e finire il gioco, come si imparerà molto presto.


E forse questo è proprio l'elementi più controverso di Blue Prince. L'idea di pianificare ogni run ben oltre al giorno corrente, ben oltre al semplice aggiungere stanze con accessi verso la stanza finale, ma già pensando e pianificando invece le run successive, per alcuni potrebbe essere un tantino eccessivo. 


Il discorso è molto intrigante e la possibilità di scoprire sempre nuovi elementi, sempre nuovi particolari ad ogni partita, e prepararsi la strada per la volta successiva sono tutte cose che possono fare impazzire (positivamente) molti giocatori. Altri però potrebbero esserne un po' scoraggiati, e io sono tra quelli.


Ho apprezzato tutto di questo titolo, prima di tutto l'incredibile atmosfera, il ritmo rilassato e gli enigmi in alcuni casi cervellotici che mi hanno fatto sentire un po' come un professor Layton, per capirci. Ma mi ha parecchio scoraggiato l'idea di dover rifare a sfinimento cose già fatte nella speranza di aver azzeccato la mossa giusta, di aver salvato l'oggetto utile e di avere poi la possibilità, nella run successiva, di utilizzarlo dove serve (ricordo che c'è sempre della casualità che potrebbe mandare tutto a pallino).


D'altra parte la storia della magione non mi ha intrigato quasi per niente ed ho trovato molti aspetti di storia e di gameplay un po' pretestuosi. Con questo voglio dire che il gioco è un po' rigido e richiede un certo impegno anche solo nel mettere insieme i puntini da cui desumere i fatti che fanno da sfondo alla vicenda. Impegno che va a sommarsi ad impegno in una costruzione totale forse davvero troppo ostica per un giocatore che si aspetta in cambio enormi soddisfazioni ma che in realtà non ne ha mai di così eclatanti.


Quindi cosa penso di Blue Prince? Gran bel gioco, costruito molto bene, eseguito come meglio non si poteva fare, ma troppo impegnativo a livello di concentrazione per essere adatto a tutti. In molti casi è letteralmente necessario prendere appunti veri (fotografici o con carta e penna), come un vero investigatore, per ricordare numeri, sequenze, funzionamenti di vari marchingegni. Te lo suggerisce il gioco stesso!


E questo mi ha portato dopo una dozzina di run a mollare la presa. Tieni presente che tra l'altro la durata media di queste giornate è stata di circa 40 minuti l'una, per cui puoi fare bene il conto di quante ho perseverato, sbloccando molte cose, risolvendo molti enigmi ambientali, esplorando location piene di atmosfera. Ma Blue Prince non mi ha mai appagato abbastanza per farmi continuare ancora a giocare, ragione per cui, almeno per il momento, l'ho messo in soffitta. Comunque è da provare, se non altro per la bellissima atmosfera.



lunedì 26 maggio 2025

Bulldog

 


Bulldog - 1987 - Versione Commodore 64

Bulldog è un gioco che mi arrivò per caso, presente su un dischetto dove c'erano diversi giochi che avevo copiato nella sua interezza, non ricordo bene nemmeno perché, senza badare a cosa vi fosse e quindi senza fare scelte. Fu quindi una piccola sorpresa quando lo lanciai per la prima volta, dal momento che di questo gioco non ne sapevo nulla, non avevo mai visto nemmeno una recensione (fu mai recensito da Zzapp?) e insomma Bulldog era un completo punto interrogativo.



E devo dire che pur non avendomi mai impressionato, restai comunque rapito dalla sua grafica e dalla sua struttura. Partendo dalla prima, questo gioco mostrava una grafica piuttosto essenziale ma dal look stupendamente metallico, roba che avremmo visto solo poi, in abbondanza, coi Bitmap Bross. Il mondo di gioco, in tutti i suoi livelli, era formato sempre dagli stessi elementi che, come piastrelle interconnesse, venivano ricombinati per creare misteriose strutture aliene da sorvolare con la nostra navetta.



Un uso intelligente delle palette di colori andava a caratterizzare ogni livello con colori diversi, un sistema sufficiente per non rendere il paesaggio troppo noioso, salvo poi virare tutto in bianco e nero all'arrivo della mega-nave di fine livello. Questo "scolorimento" a fine livello l'ho sempre considerato un espediente semplice ma di enorme effetto.


Delle barre orizzontali, probabilmente fatte di pixel renderizzati col raster, davano anche un discreto effetto di scrolling parallatico e quindi in definitiva il gioco sprizzava personalità da ogni pixel. Caratterizzati da una difficoltà piuttosto elevate, i livelli non sono mai troppo lunghi e hanno anche dei punti di caratterizzazione interessante, come la presenza di piastrelle che danno alcuni effetti sulla velocità della nave o sulla sua potenza di sparo, se non addirittura la possibilità di invertire il moto di marcia (cosa fondamentale per non morire sfracellati in alcuni passaggi labirintici).


Il difetto principale del gioco sta proprio in questi potenziamenti, dove quelli positivi li perdi quando muori, mentre quelli negativi (uno su tutti: la nave che diventa lentissima) te li porti dietro finché non ne prendi uno che annulli l'effetto negativo, e secondo me non è giusto!


L'altro difetto è che comunque in Bulldog la varietà non è proprio di casa, soprattutto per quanto riguarda le minacce che dovremo affrontare. Non ci sono navette nemiche, mostri o altro, ma sempre e soltanto le solite torrette e la nave finale, che diventa sempre più grosse e minacciosa, ma che è comunque sempre composta dalle stesse componenti di base. Tutto questo rende Bulldog un po' incompleto, così come è incompleta la soddisfazione che mi dava superare un suo livello nel 1987. Oggi resta quindi un gioco curioso che nel suo piccolo ha lasciato il segno ma che non verrà ricordato come un classico.




domenica 25 maggio 2025

Discografia Depeche Mode (prima parte)

 


Discografia Completa DEPECHE MODE (parte 1)

Dopo che un anno fa mi ero cimentato in una sciagurata maratona sulla discografia completa di Jovanotti, quest'anno mi sono voluto premiare con una discografia che, se non altro, amo. Prima il dovere e poi il piacere, mi aveva insegnato mia nonna. Ed eccomi quindi a riascoltare in ordine cronologico tutti gli album da studio di quello che è probabilmente il mio gruppo musicale preferito. Scarto volontariamente gli album dal vivo e le raccolte, ben sapendo che in questo modo verranno tralasciati anche dei brani famosi comparsi solo come bonus track. Alla fine di ogni recensione emetterò un voto che - attenzione - sarà la summa, la sintesi, di tanti aspetti diversi, che comprendono quanto mi era piaciuto il disco ai primi ascolti, quanto sono legato a quella particolare incisione, e soprattutto a quanto mi fa piacere riascoltare il disco oggi. Cercherò di fare una sintesi, ma sarà sempre e comunque una valutazione personale. Per cui non venitemi a contestare i voti, perché sono da considerarsi totalmente soggettivi. Ma bando alle ciance, iniziamo con:

I - SPEAK AND SPELL (1981)


Un album synth pop di 44 anni fa ha chiaramente delle sonorità che sembrano partorite da una tastierina che oggi puoi comprare a 50 euro su Shein, ed è innegabile che gli arrangiamenti sembrino piuttosto deboli anche se inquadriamo il disco nella sua epoca d'uscita. In altre parole nel 1981 c'era molto di meglio da ascoltare dal punto di vista della ricerca sonora, anche se ci dovessimo limitare ad esponenti dello stesso genere. Tuttavia noi vogliamo andare oltre al semplice sound, che è comunque interessante da ascoltare perché è innegabile che si noti un utilizzo creativo delle pochissime risorse a disposizione, una cosa che è importante imparare a fare (ed è una cosa che ho fatto un po' anche io ai vecchi tempi dell'Amiga), quando oggi invece con tutti i suoni facilmente a disposizione di chiunque molta gente perde di vista proprio la capacità di fare della propria creatività il punto fondamentale quando si compone e si suona. Tornando a noi e passando quindi all'ascolto delle canzoni si nota principalmente una cosa, e cioè la mano di Vince Clarke, che fece parte del gruppo solo per questo album ma che ha inevitabilmente influenzato non solo Speak and Spell ma tutta la produzione dei Depeche, fino ad oggi. Clark è un genio, come ha dimostrato in quarant'anni di carriera, ma in questo disco ha espresso molto poco della sua creatività, purtroppo. Si sente la sua presenza ovviamente in Just can't Get Enough, che è il brano più noto e travolgente dell'intero disco, ma anche in New Life, Dreaming on Me (brano quest'ultimo non presente nella versione originale britannica) e I Sometimes Wish I Was Dead (che al contrario è presente solo nella versione UK) che sono comunque canzoni capaci di lasciare qualcosa. Non si può dire lo stesso delle restanti tracce invece, che sono per lo più mediocri, per non dire di peggio. Sì, Speak and Spell è un album piuttosto debole sotto tutti i punti di vista, e se non fosse per Just can't Get Enough (e per la straordinaria carriera che ha fatto successivamente il gruppo) probabilmente non lo ricorderebbe nessuno. Infatti oggi questo non è certamente un disco che mi verrebbe voglia di ascoltare, visto che ci sono milioni di cose più interessanti in giro, anche dello stesso genere. Infine una piccola nota sul canto. Dave non cantava bene, va detto. Nulla da obbiettare su timbro e personalità, ma il canto è un'altra cosa. Nel brano Any Second Now invece canta Martin Gore e qui si nota quanto invece il suo canto sia molto più ricercato e, in definitiva, piacevole. Insomma Speak and Spell è un disco che dà principalmente degli indizi su quello che poi sarebbe effettivamente accaduto, ma che per il resto, a mio parere, non merita eccessive attenzioni. Per questo motivo il mio voto finale è un 4 (QUATTRO) di incoraggiamento.



II -  A BROKEN FRAME (1982)

Meno di un anno dopo arriva A Broken Frame, un lavoro che prosegue piuttosto in continuità col disco precedente benché, e ascoltandolo si nota eccome, gli arrangiamenti siano estremamente più curati e soprattutto sia stata sviluppata dalla band molta più arte nel mettere insieme i limitati suoni dei poveri synth che avevano a disposizione. La composizione dei brani passa totalmente a Gore, visto che Clarke aveva già abbandonato la nave, ma si nota solo fino ad un certo punto, e principalmente lo si nota nei due brani strumentali (che a seconda delle versioni dell'LP in tue mani, potrebbe essercene solo uno). A proposito di questi brani strumentali, Nothing to Fear è probabilmente il pezzo migliore del disco, e infatti è a tutt'oggi acclamato come un classico della musica elettronica. A Broken Frame è un disco piacevole da ascoltare perché ha una discreta varietà di momenti e non mancano brani decisamente orecchiabili, primi tra tutti The Meaning of Love e See You. In ogni caso c'è molto spazio per le melodie e i riff, e questo è uno degli aspetti che a mio parere ha contribuito maggiormente a creare un seguito così ampio alla band. Certamente questo non è uno di quei dischi che mi viene voglia di riascoltare molto spesso, più che altro per il sound a mio avviso ancora piuttosto povero di sfumature, ma lo trovo dignitoso e, in definitiva, un gran passo in avanti rispetto a Speak and Spell. Il mio voto è un 6 (SEI) pieno.



III - CONSTRUCTION TIME AGAIN (1983)

Passa un anno e arriva il terzo album, quello che personalmente trovo il meno interessante dell'intera discografia dei Depeche. L'LP è trainato da un brano clamoroso, quel Everything Counts che sembra uscito da un altro mondo, se rapportato al resto dell'album. Everything Counts è un brano con una struttura ben definitiva, un testo intrigante, una melodia che ti resta in testa, sonorità originali e innovative e una produzione di alto livello (pur conservando le identità sonore tipiche della band), mentre tutti gli altri brani di Construction Time Again hanno grosse mancanze sotto tutti i punti di vista. Love in itself è il brano meno debole del lotto, ma il resto del disco non è all'altezza nemmeno dei lavori precedenti, in quanto le canzoni trasmettono poche emozioni e quando non sono noiose e ripetitive sono canzonette che sembrano scritte da un bambino. L'unica cosa degna di nota è l'evoluzione del sound dei Depeche Mode, che in questo disco si arricchiscono di quelle percussioni metalliche che poi faranno la loro fortuna. E anche per nostra fortuna, coi prossimi dischi la musica sarà destinata davvero a cambiare. Everything Counts è un brano da 10, e ha fatto la fortuna della Band, portando ad essa tantissimi estimatori (me compreso), ma Construction Time Again è un album davvero poco significativo, a cui do, nella sua interezza, 3 (TRE).

(continua...)

giovedì 22 maggio 2025

Bloody Bastards


Bloody Bastards - versione Android

Se non fosse funestato da continui passaggi pubblicitari questo gioco non sarebbe nemmeno malaccio. Purtroppo ad ogni battaglia bisogna sorbirsi oltre un minuto di pubblicità, tutte sempre dello stesso tipo, per una durata che spezza eccessivamente il ritmo. Se le pubblicità durassero massimo 20 secondi sarebbe non solo sopportabile ma anche gradito avere un momento di pausa tra uno scontro e l'altro, ma a questi livelli la cosa è insostenibile.


Certamente si può "acquistare" il gioco, eliminando questa rottura degli spot pubblicitari, ma vale la pena spendere 3 euro per questo giochillo? Secondo me no. Bloody Bastards è simpatico, anche divertente, ma ha lo spessore di un foglio di carta. Le battaglie sono tutte uguali, solo diventano sempre un pelino più difficili delle precedenti, ma ad ogni tot si possono comprare nuovi equipaggiamenti per controbilanciare il problema, ed essere quindi sempre al giusto livello di preparazione.


Ci sono una manciata di campagne, ma sono strutturate tutte allo stesso modo, variano solo la forma delle armi e gli sfondi durante i combattimenti. Insomma, c'è poca varietà di contenuti e anche i combattimenti offrono poche opzioni. Si controllando solo le braccia del nostro omino, ciascuna con un dito, per cui puoi ruotare, alzare o abbassare il relativo arto lanciando in questo modo fendenti o parando i colpi avversari. La cosa è molto divertente, ma con pochissime variazioni, per cui dopo una cinquantina di scontri arriva la noia.


Tecnicamente è talmente rozzo da apparire affascinante, dico sul serio. La pochezza generale del gioco ha comunque qualcosa di magnetico per cui non riesco a cancellare Bloody Bastards dal mio telefono, ed ogni tanto mi trovo ancora a roteare l'accetta per spezzare il cranio di un teschio nemico. Non vale quindi la pena comprarlo ma va provato.



lunedì 19 maggio 2025

Final Fantasy VII Rebirth



Final Fantasy VII Rebirth - 2024 - Versione Playstation 5

Oltre 200 ore di gioco per arrivare in fondo facendo tutto quello che c'era da fare in modalità normale, compresi tutti i minigiochi, e molti boss opzionali. E una volta arrivati in fondo altre 100 ore per rigiocare tutti i capitoli in modalità difficile, facendo fuori tutti i boss opzionali, creando tutti gli oggetti che si possono forgiare e vincendo tutti i minigiochi facendo il punteggio massimo.


E i minigiochi sono tantissimi, alcuni derivati dal FF7 originale, come le corse dei Chocobo (di vari tipi) e gli scontri a cazzotti, moltissimi altri messi nuovi nuovi, più o meno freschi, come i già visti assalti a Fort Condor e la corsa in moto, o la gara di piegamenti, ma anche tantissimi altri come le sessioni al piano (fantastiche!), le missioni spaziale in stile Kingdom Hearts, il gioco di carte collezionabili, i campi dei moguri, i tiri al bersaglio, un tower defender, una specie di calcio, e tante altre attività più o meno snervanti ma fatte dannatamente bene, tra rane, delfini e altre amenità.



Naturalmente questo è solo contorno. Per il resto siamo davanti a quello che si può in linea di massima definire il "secondo disco" di Final Fantasy 7, o meglio con Rebirth viene coperta quella fascia di trama che va dall'uscita da Midgar al momento fatale di Aerith. Che poi è ovvio che questo remake spinge per convincerti che la storia non sia effettivamente già scritta e che quindi, per il gran finale previsto per il 2027, avremo grosse sorprese. 



Purtroppo il tutto viene fatto con il solito stile Nomurano che ti crea più interrogativi che certezze, dove forse l'unica - per l'appunto - certezza è che alla fine molti di questi interrogativi resteranno irrisolti, lasciando spazio alle solite seghe ment... speculazioni tipiche di ogni fanbase.


I combattimenti, di cui ho sentito parlare un gran bene, non mi hanno affatto convinto. Guidi un solo personaggio e nel frattempo il party non fa una mazza di niente. Molto spesso i tuoi turni vengono interrotti dai nemici o, peggio, da scenette scriptate che ti mandano in vacca una limit che magari stavi coltivando da minuti di reiterati attacchi anonimi. 


Le summon arrivano quando vogliono loro, uscendo completamente da qualunque utilizzo strategico (tanto sono comunque piuttosto inutili) e la gestione delle armi e relative abilità mi ha fatto abbastanza cagare.


Ci vorrebbero dei gambit per far agire i compagni con maggiore iniziativa, ci vorrebbe che i turni fossero rispettati e non che viga questa caotica anarchia in cui la strategia va spesso a quel paese. Poi alla fine il tutto funziona, ma sono troppe le volte in cui me la prendo perché le mie tattiche vanno a pallino senza un valido motivo. Sarò l'unico a pensarla così, ma alla fine non mi ha divertito così tanto nemmeno scontrarmi con i mega-boss.


Dal punto di vista tecnico invece nulla da dire: graficamente Rebirth è bellissimo, con scenari quasi fotorealistici, personaggi che soprattutto nelle scenette di intermezzo sono meravigliosi, e poi la musica... i temi dei FF7 sono presenti in quantità e in tantissime versioni diverse... e per chi come me ama tantissimo quella colonna sonora, qui c'è davvero di che godere.


I brani inediti, per contro, sono un po' troppo moderni e quindi un po' fuori posto, ma non intaccano la bellezza dell'impianto sonoro eccezionale di questo gioco.


Ci sarebbe tantissimo ancora da dire ma per concludere mi voglio focalizzare sul fatto che purtroppo la cosa che a me interessa di più in questi giochi è lo sviluppo dei personaggi e questa cosa, in Rebirth, è quella su cui forse è stata messa meno enfasi rispetto a tutto il resto. Per questo motivo, e aggiungiamo anche le ore di scenette da guardare, non posso dire che Final Fantasy 7 Rebirth rimarrà tra i miei giochi preferiti. Ma resta comunque un'esperienza enorme e bellissima da vivere.




domenica 18 maggio 2025

Centipede

 


Centipede - 1982 - Versione Atari 2600

Nel 1981 l'Atari pubblica il gioco arcade Centipede, che mi pare fu sviluppato da una programmatrice donna. Lo vidi una sola vola in vita mia, in uno stabilimento balneare "concorrente" a quello dove andavo, e dove tutt'ora vado da una vita. Devi sapere che all'epoca tutti gli affezionati ospiti di un determinato stabilimento balneare entrano automaticamente in competizione con gli utenti degli atri stabilimenti della stessa spiaggia, sviluppando un vero e proprio disprezzo verso gli altri, un po' come succede tra le tifoserie delle varie squadre di calcio. Noi dei "Lido" cercavamo per lo più di stare in tregua coi vicini degli "Stella", ma ogni tanto scappava qualche scaramuccia (a colpi di gavettoni e di piccoli furti), mentre entrambi guardavamo un po' timorosi al nemico comune degli "Arcobaleno", dove si diceva girasse addirittura della droga! Nonostante questo ogni tanto tentavo qualche sortita in solitario all'interno di questo pericolosissimo stabilimento per vedere che arcade ci avessero insallato (e per vedere anche se ci fosse qualche ragazza interessante...), ma avevo sempre i nervi tesi, mi sentivo come una spia americana in territorio russo, sempre guardingo, fuori posto, osservato di sbieco da tutti (probabilmente non mi guardava nessuno, ma mi sentivo così).


Centipede era lì, infilato in una serie di una decina di macchine tra cabinati e flipper. Quella fu l'unica volta che ebbi occasione di vederlo e giocarlo e, lo ammetto candidamente, non mi piacque per niente. Odiavo le trackball, micidiali dispositivi pizzicamani, e non mi attirò per nulla la grafica con sfondo nero e tutti quei minuscoli funghetti tutti uguali ma dai colori inguardabili. Infine il gameplay che si riduceva ad essere solo una specie di Space Invaders ma più frenetico: un po' poco. Quindi per me fu una bocciatura. 


La versione per il piccolo Atari VCS invece mi è sempre piaciuta. Graficamente è ancora più povero, però gli orribili funghi (che qui si vedono nella loro forma usuale solo nello schermo dei titoli)  sono stati sostituiti da dei nomali quadratini che, nella loro semplicità, rendono lo svolgersi della partita più leggibile. Il verme e il ragno sono stati più o meno rappresentati in modo riconoscibile, non lo stesso si può dire purtroppo per il nostro serpentello (o quello che è il nostro avatar, non l'ho mai capito). La giocabilità invece è ottima, e se certamente il gameplay resta lo stesso visto nel gioco da bar, l'utilizzo del joystick rende tutto divertente e abbastanza preciso per dare soddisfazioni al giocatore. Insomma la versione casalinga è venuta davvero bene, al punto che questo gioco non solo è perfettamente giocabile ma è persino più divertente dell'originale.



giovedì 15 maggio 2025

Star Goose

 



Star Goose - 1988 - Versione Amiga


Quando arrivò l'Amiga 500 in casa mia, era il marzo del 1988, c'erano quei quattro o cinque giochi che volevo assolutamente portarmi a casa con il nuovo computer, e ovviamente me li andai a copiare dai soliti amici ben forniti ancor prima di avere fisicamente l'Amiga in casa. Per fare questo mi dovetti comprare una dozzina di dischetti, che ricordo ancora pagai la bellezze di 3500 lire cadauno, un vero e proprio salasso, per un totale di 42000 lire, roba che ti compravi comodamente un paio di giochi. Per questo motivo andai avanti quasi per un anno riciclando sempre gli stessi dischetti, fino a quando, verso la metà del 1989, si iniziavano a trovare "bulk" di 50 dischetti a mille lire l'uno, o giù di lì.


Fatto sta che sfruttai alcuni di quei dischi per copiare i giochi che avevo sognato di possedere per mesi (vedi Defender of the Crown, Barbarian, Crack, il Sonix ecc), e mi avanzò pure qualche dischetto che ovviamente utilizzai per provare dei titoli - per così dire - minori. Tra questi c'era anche Star Goose, un titolo appena uscito la cui grafica sembrava "da bar", con un sacco di oggetti colorati su schermo ed un gameplay tutto sommato originale. Peccato che dopo poche partite diventava subito chiaro che il gioco fosse di una noia mortale e, va detto, anche progettato in modo approssimativo. Praticamente si doveva solo correre su sfondi sempre uguali per raccogliere 6 cristalli, raccolti i quali si passava al livello successivo.


In tutto questo durante il gioco si doveva fondamentalmente limitarsi a gestire le tre risorse della nostra nave - proiettili, carburante e scudi - i cui livelli sono in costante diminuzione ma che sono rimpinguabili attraverso fasi soporifere all'interno di una specie di tunnel 3d. Il gioco era tutto qua e, se si esclude la grafica che per l'epoca era più che decente, non aveva alcun guizzo e anzi, come detto, appariva un po' approssimativo in tutto quello che faceva e che ti presentava su schermo.


In parole semplici Star Goose durò sul mio floppy disc non più di una settimana, per lasciare subito posto a qualcosa di ben più interessante. Oggi però mi ha fatto piacere farci un giro perché mi ha riportato indietro a quel 1988 che - videoludicamente parlando - mi ha regalato momenti davvero magici. Ma per il resto putroppo per lui Star Goose è noioso, poco avvincente e anche difficile da decifrare (sparare serve davvero a qualcosa?), per cui non ti curar di lui ma guarda e passa.



martedì 13 maggio 2025

Ant Attack

 


Ant Attack - 1983 - Versione Spectrum

Ant Attack è il primo gioco a cui abbia mai giocato sullo Spectrum. Però devo un po' spiegare il senso di questa affermazione. Lo Spectrum era l'home computer di uno dei miei vicini di pianerottolo, un ragazzo una decina d'anni più vecchio di me, appassionato dungeon master, nerd puro, uno di quelli che ti presta libri fantasy, ti ingabbia per serate a giocare di ruolo e cose simili. Fin dal 1983 mi mostrò regolarmente, tutto tronfio, i giochi che aveva sul suo Zx Spectrum, ma in realtà questo computer non me lo ha mai lasciato toccare. Solo guardare. Ma del resto per lui io ero un bambinetto. Per avere un'esperienza più attiva con questo home computer dovetti aspettare di avere quel simulatore di Spectrum 48K che girava su mio Commodore 64, cosa che accadde se non ricordo male nell'inverno del 1986. Ho usato la parola "simulatore" perché quel software non era un emulatore come lo intendiamo oggi, ma era solo un programma che ti trasformava il C64 in quello che in apparenza sembrava uno Spectrum, ma che in realtà simulava solo il suo ambiente basic. L'interfaccia, il set di caratteri, la risoluzione e i colori che ti mostrava questo programma riproducevano l'ambiente tipico di quella macchina e ti permetteva di digitare, salvare ed eseguire programmi in basic scritti appositamente per Spectrum, simulando il comportamento del computer originale anche quando andavi ad agire coi comandi "poke", atti a modificare lo stato interno del sistema. Ma si trattava di un abile trucco, visto che questo simulatore non poteva eseguire programmi in codice macchina in quanto, per l'appunto, non emulava veramente uno Spectrum, non ricreava la sua architettura né riproduceva il comportamento del suo processore, faceva solo finta di essere uno Spectrum. In ogni caso già così com'era questo programma era fantastico, permettendoti di conoscere la macchina "concorrente" (c'era una vera guerra tra sostenitori di home computer differenti) e di poter "imparare a programmare in basic", frase con cui tutti gli utenti dello Speccy si riempivano la bocca per sostenere che il loro sistema, a loro detta, fosse "superiore" (ma ad onor del vero non si è mai visto un emulatore di Commodore 64 su Spectrum, e questo vorrà pur dir qualcosa!).


Quell'ambiente però aveva la sua magia, ad iniziare proprio dai colori e dal set di caratteri di sistema che, se mi permettete il termine, era davvero iconico. Questo set di caratteri veniva di solito "ridefinito" all'interno dei giochi commerciali, veniva cioè sovrascritto con caratteri dall'aspetto differente, sia per dare un tocco di cura maggiore al prodotto, sia per meri motivi estetici. In Ant Attack invece questo set rimane esattamente lo stesso che offriva la macchina, contribuendo a rendere questo gioco - per lo meno alla vista del sottoscritto - come "una cosa 100% da Spectrum". Questo fu uno dei motivi per cui scelsi Ant Attack come il primo gioco che finalmente potei testare (e siamo già nel 1994) su di un vero emulatore di Spectum. Devo essere sincero, non ricordo più se questo software girasse su Amiga 1200 o su Ms Dos, ho ricordi molto confusi di quell'anno (e non solo per l'età), ma certamente non ho mai posseduto uno Spectrum vero e quindi mi dovetti accontentare di emularlo su qualche altro computer in mio possesso.


Ma veniamo ora finalmente a questo gioco, che poi è comunque uno dei più acclamati videogame prodotti per questa macchina. E lo è a buon diritto, perché presenta caratteristiche che, fino all'epoca in cui uscì, non si erano praticamente mai viste. Te ne elenco qualcuna: all'inizio si può scegliere se guidare un maschio o una femmina, e credo che non ci siano altri giochi antecedenti a questo che ti proponesse una scelta di sesso; la visuale è in isometria e si può ruotare dalle quattro angolazioni, cosa assolutamente mai vista prima; la mappa di gioco si estende ben oltre le dimensioni dello schermo, grazi a scrolling multidirezionale, e sulle tre dimensioni, visto che ci sono strutture di varie altezze su cui si può salire saltando e, credimi, sembrava una cosa incredibile nel 1983. Infine citerei anche il "tank control", cioè il movimento relativo alla direzione in cui è rivolto l'omino (cosa che vedremo ad esempio nei primi survival horror, che quindi devono parecchio a questo gioco). Tutto questo è però in parte rovinato da una grafica totalmente monocromatica, lillipuziana e - per design - scattosa, fatta di chiaroscuri capaci di mandarti in pappa gli occhi dopo dieci minuti. Purtroppo questi difetti rendono Ant Attack un gioco che oggi non è in grado di divertire nemmeno per un minuto, in quanto i comandi sono a dir poco ostici, l'esplorazione difficilmente può emozionare nemmeno i vecchi nostalgici bacucchi come me, e il gameplay è talmente elementare da annoiare al terzo salvataggio. Resta il fatto però che Ant Attack è "una cosa 100% da Spectrum", per cui non posso non amarlo e rimanere ammirato per il futuro che è stato capace di farci intravvedere ormai oltre quarant'anni fa. Ant Attack è a buon diritto un classico, ma è solo per veri nostalgici.